Nel 2023 la pratica di Post Disaster Rooftops è stata invitata a contribuire a “SPAZIALE: Ognuno appartiene a tutti gli altri”, il progetto per il padiglione Italia alla 18° Biennale di Architettura di Venezia, curato da Fosbury Architecture.
L’invito a partecipare era associato ad uno statement curatoriale: “Convivere con il disastro ambientale”
Accogliamo l’invito e facciamo il punto sul processo in corso. Come conseguenza, la traccia curatoriale di PDR EP04 è intimamente connessa alla città e alle istanze generatrici del progetto, attraverso figure fondamentali – reali e immaginifiche, globali e situate – di una pratica modellata nel tempo.
Disastro¹
Letteralmente, il “disallineamento dagli astri”, una rotta infausta o contraria alla direzione favorevole. È possibile interpretare il disastro come una condizione di partenza verso una deriva felice?
(Il disastro è in corso o è già avvenuto?)
Disastro²
Lente territoriale per la comprensione di tensioni e dinamiche globali
Taranto
Città portuale e industriale dell’Italia meridionale, manifesto della crisi – globale, urbana ed ecologica – contemporanea.
Crepe
Fratture verticali che irrompono attraverso i molteplici sedimenti dello sfruttamento, dell’inquinamento e della crisi, creando nuove relazioni con lo spazio, il tempo e il lavoro capaci di minare la violenza del capitalismo globale.
Rovine
Archeologia del presente – e del futuro – che raccoglie i fossili del nostro tempo o di quella con-temporaneità in cui tempi eterogenei convivono e sbattono uno contro l’altro, come barche ormeggiate al porto.
Tetti (di Taranto)
Spazi urbani non convenzionali – sospesi tra pubblico e privato – liberi dalle principali forme egemoniche di controllo. Dai tetti della Città Vecchia di Taranto è possibile avere una ricognizione immediata degli effetti del disastro (ambientale, economico, politico…) e, allo stesso tempo, immaginare collettivamente futuri alternativi attraverso continui slittamenti dello sguardo tra il reale e il possibile.
Mostri
Variazioni del sistema, forme creative e collaborative di adattamento, intrecci promiscui che permettono la vita sulla terra. Sono figure utili per pensare all’Antropocene e ai suoi effetti disomogenei. Sono le meraviglie della simbiosi e le minacce dello sconvolgimento ecologico. I mostri hanno un doppio significato: da un lato, ci aiutano a prestare attenzione agli antichi intrecci chimerici; dall’altro, ci indicano le mostruosità dell’uomo moderno.
Fantasmi
Spiriti che indicano luoghi in cui si è consumata una violenza nascosta, negata o irrisolta. L’amministrazione dell’oblio – le amnesie calcolate, amministrate e spesso brutali con cui un’entità politica e/o economica cerca di cancellare i segreti della propria violenza – lascia comunque tracce rivelatrici come una sorta di controprova. La violenza raramente cancella ciò che rimuove; lascia le ombre di ciò che tenta di cancellare.
Mediterraneo¹
Entità controversa, sincretica e transglobale, infestata da passati coloniali
Mediterraneo²
Laboratorio di crisi contemporanea – (politica, ecologica, geografica, psicologica…) i cui confini sono continuamente mutevoli e indeterminati
Al microscopio, ogni essere (ogni cosa) appare terrificante. Pulviscolo vibrante di ossa, occhi, peli, ciglia, arti, pieghe, pori in cui si riconosce l’origine brulicante e mostruosa del mondo. Mai rottura ma solo continuo mutamento e divenire.
In tutte le organizzazioni spontanee della materia, i rapporti tra pieni e vuoti si replicano
per tentativi. A questo grado di vicinanza esiste solo il variare della forma – in rotture, addensamenti, deviazioni, buchi. Il tempo non esiste.
La crepa, slabbrata, di questi muri polverosi è una vertigine sul vuoto, un buco nero.
Ficco la pupilla nella fessura buia per spiare i fantasmi di esistenze pregresse: carta da parati e tracce banali che la polvere ha mitizzato.
Appoggio l’orecchio come ad aspettarmi l’eco di un suono, il rumore sommesso che penetra la terra. Gli strati di sedimenti rimossi lasciano dietro di sé un paesaggio perforato (gaiaporosi). I bisbigli della civiltà del ferro, del carbone e dei minerali rari si dissolvono nell’aria come sostanza gassosa. Il racconto del progresso moderno si dissolve in un borbottio prolungato e stanco, come un bordone di fondo. L’opposto, l’occluso, l’oppresso, il combustibile sporco, il massacro: ciò che alimentava la macchina ora la fa crollare.
Dicono che i territori sacrificali siano subalterni alle città (onnivore, voraci). Mi sembra che questo luogo sia l’una e l’altra cosa. È riproduzione delle macerie, entità cannibale che fagocita se stessa.
VI STIAMO PARLANDO DAL FUTURO
dance on the ashes, to rebuild a future,
who lit the flame? no one knows,
like secret wishes, become real,
now nothing will ever be the same.
(estratto di testo della canzone “An 01” dei Burning Heads, dall’album “Taranto”, 2003)
All’interno della costante mescolanza dei processi evolutivi, l’ostinazione a perseguire un’idea di sviluppo lineare e unidirezionale è un atto di presunzione individuale.
Abitare il post-disastro implica porsi in netta contrapposizione con la narrativa occidentale del 2050 che spinge il “punto di catastrofe” in avanti, in un momento futuro predeterminato tecnocraticamente.
Il disastro è già avvenuto (siamo sopravvissut*? Cosa abbiamo imparato?) e il Mediterraneo è una crepa. La materia straborda, si rimescola, si genera un flusso (di corpi, risorse e tempi diversi) in cui il futuro collassa nel presente.
Abitare il post-disastro significa accogliere la complessità della mostruosità in tutte le sue forme, in quelle distruttive ma anche nelle sue connessioni vitali e generative.
I luoghi come Taranto sono avamposti della crisi globale, interstizi spazio-temporali che ci proiettano inaspettatamente in geografie/paesaggi infestati dove vengono negoziate nuove simbiosi improbabili.
La Città Vecchia (di Taranto) è una rovina urbana, porosa e permeabile. Un rifugio per pratiche abitative sperimentali, abusive, informali, adattive e resistenti – che ostinatamente costruiscono alternative ai sistemi dominanti da cui sono estromesse.
Il Mar Piccolo (di Taranto) è una rovina naturale dove le conseguenze violente delle attività umane coesistono con una vita animale e vegetale in continuo rinnovamento.
Dalle rovine del presente emergono formazioni fragili eppure esplosive, che sviluppano nuove relazioni spaziali e sociali.
Abitare il post-disastro inizia con una pratica umile: osservare, guardarsi intorno, notare i mondi che ci circondano. Lo sguardo che proponiamo è promiscuo, controintuitivo, empirico e immaginifico. Lo scopo è costruire futuri in cui siamo tutt* indispensabili, interconness*, autodeterminat* e solidali.
Dai tetti di Taranto, insieme, osserviamo la catastrofe e proviamo a rinnovare lo sguardo, ribaltando il senso comune degli spazi urbani attraverso continue interazioni tra i corpi collettivi e organici e quelli minerali dell’infrastruttura.
Loro, saldi sui binari dell’infrastruttura, stanno immaginando una soluzione.
Noi, dalle macerie, stiamo già immaginando nuovi modi, nuovi mondi.
Abbiamo smesso di guardare davanti, (ri)cominciato a guardarci intorno. Il futuro è adesso.
Direzione artistica
Post Disaster (Peppe Frisino, Gabriele Leo, Grazia Mappa, Gabriella Mastrangelo)
Set Design
Post Disaster (Peppe Frisino, Gabriele Leo, Grazia Mappa, Gabriella Mastrangelo)
Collaboratorici
Margherita Kay Budillon, Silvia Convertini, Beatrice Pelagatti
Con i contribuiti di
Silvia Calderoni, Ilenia Caleo, Donato Epiro, Ilaria Lupo, Roberta Mansueto, Martina Muzi, Rosita Ronzini, Francesco Zita
Con il sostegno di
Comune di Taranto
Con il contributo di
Fondazione con il Sud, Fondazione Patria della Bellezza, Teleperformance Italia
Progetto grafico
Michele Galluzzo
Sound Design
Gaspare Sammartano
Comunicazione
Marina Luzzi, Salgemma
Foto
Delfino Sisto Legnani, Sara Scanderebech, Pierfrancesco Lafratta
Video
Alterazioni Video, Southern Sofa
Ringraziamenti
Rinaldo Melucci (Sindaco del Comune di Taranto), CREST Cooperativa Teatrale, ETS Symbolum, Fondazione Italia Patria della Bellezza, Kikau srl, Provinciali Service srl, Teleperformance Italia, Giuseppe Novellino, gli abitanti della Città Vecchia di Taranto